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Afgano

Tempo di lettura: 14 minuti.

Quei pochi che ci hanno conosciuti hanno provato istintivamente odio nei nostri confronti. Eppure, fare da spettatori a tutto quanto il dolore e la solitudine che l’esistenza dei vivi porta ai nostri occhi, non è certo facile.
Se avessimo dei bisogni, almeno uno di questi sarebbe il bisogno di compassione per l’immensa pena che il nostro compito ci impone.

I

Un carro blindato, circondato da militari, sostava sull’altro lato della strada polverosa. Asa e Feda, dal loro lato di strada, seduti sul moncherino di quello che una volta doveva essere il muro di una casa, fissavano i propri sandali infangati e, solo di tanto in tanto, osavano lanciare un’occhiata incuriosita verso i militari.
«Ma perché devono starci loro all’ombra?» sbottò Asa, picchiandosi con la mano su una coscia, per dare tangibilmente sfogo alla propria indignazione. «Tutti noi dobbiamo starcene a cuocere al sole tutto il giorno, mentre l’unico posto all’ombra è occupato da loro! Chi gliel’ha dato il diritto di prendersi la nostra ombra?» Tutto il suo discorso politico era pieno di sincera rabbia, ma la paura di poter essere sentito dai militari era tanta e tale da rendere il suo furioso monologo niente più che un bisbiglio contenuto che soltanto il suo amico Feda, seduto al suo fianco, poté sentire.
«Ma, Asa, mica l’hai fatta tu l’ombra. L’ombra non è di nessuno» disse Feda, spaventato più dal furioso Asa, che non dai militari.
«E allora? L’hanno forse fatta loro? Se non è di nessuno, allora nessuno ci dovrebbe stare al fresco!»
«L’ombra è sempre di chi ci arriva per primo, no? Come il resto delle cose.» Ogni frase di Feda finiva sempre come se non fosse davvero finita, con una flessione della voce che lasciava intendere che ci fosse dell’altro da dire. Ma spesso non era così e, dopo alcuni secondi di attesa, Asa saltava su quasi sempre e si metteva a scuotere l’amico, come fosse un giocattolo rotto.
«Quali cose?» chiese irritato.
«Beh, le altre cose…tutte le altre cose, no? L’ombra, l’acqua, le galline…i soldi! No?»
Ma a questo punto Asa non lo stava già più a sentire. Era immerso in un altro pensiero, molto più interessante.
Accorgendosi di quei due ragazzini che si stavano avvicinando, uno dei soldati svegliò con un colpo di gomito il compagno che gli sedeva accanto. Indicandogli i ragazzini disse: «Hai fatto di nuovo conquiste. Guarda cosa arriva!» – e, rivolgendosi al resto del gruppo – «Quest’uomo è una vera e propria calamita per i ragazzini. È incredibile! Se c’è un poppante nel raggio di un chilometro… Sei davvero una cosa…» Ma la sua frase venne interrotta dalle risate dei compagni, mentre uno di loro che stava appoggiato al carro gli faceva cenno di voltarsi. Perché – contrariamente alle sue previsioni – i due ragazzini sembravano essere venuti proprio per lui, a dispetto delle decantate capacità dell’amico.
Uno di quei due piccoli zingari aveva una strana luce negli occhi e fissava avidamente il mitra che il soldato teneva appeso al collo. Entrambi se ne stavano lì, a pochi passi dai militari, incuriositi ma anche spaventati.
«Andatevi a cercare compagnia altrove!» disse brusco il soldato, alzando un po’ di polvere e ghiaia con un finto calcio. Ma a nulla valse la minaccia e, senza insistere oltre, decise di scendere a patti. «Vi ho capiti, piccoli terroristi!» Cacciò fuori dalla fondina la Beretta, tolse il caricatore e, assicurandosi che non vi fosse il colpo in canna, fece cenno al ragazzino dall’aria sveglia di avvicinarsi.
Il piccolo, con passi lentissimi, eseguì l’ordine e, una volta raggiunto il soldato, allungò sfacciatamente la mano verso l’arma. «Prendila e sparami! So che vuoi farlo.» Ma questi, non appena ebbe la pesantissima pistola tra le proprie deboli mani, si spaventò, rendendosi di colpo conto della stupidagine che aveva fatto. Rimise goffamente quel pezzo di ferro in mano al soldato e si ritrasse di scatto. Risero tutti.
A quel punto, rimessa a posto la Beretta, il soldato divertito lanciò loro alcune monetine, dando un nuovo ordine: «Tieni, piccolo killer! Andateci a prendere da bere e compratevi qualcosa per voi. Ma sappi che voglio il resto!» Raccolti i soldi da terra, i due ragazzini schizzarono via entusiasti.

II

Quando Omed tornò a casa, dopo una giornata trascorsa al pascolo alto con il suo sempre più misero gregge di capre, trovò la moglie sconvolta sulla soglia. «Asa è scomparso!»
Omed corse a casa del fratello, Haami, per chiedere se il piccolo Feda sapesse qualcosa. Ma, una volta lì, lesse sul volto del fratello la sua stessa agitazione. Anche Feda non si trovava da nessuna parte. Quel giorno non era rientrato neanche per mangiare.
I due fratelli perlustrarono il villaggio in lungo e in largo fino a notte fonda, arrivando anche a calarsi nei due pozzi per l’acqua. Ma, nonostante alla ricerca si fossero aggiunti man mano altri uomini, i due bambini non si trovavano.
Quando decisero di chiamare altri ancora come aiuto nella ricerca, per formare delle squadre e dirigersi alle grotte, scoprirono che altre otto famiglie del villaggio stavano vivendo anch’esse ore di angoscia per la sparizione dei propri figli.
Svegliarono allora tutto il villaggio e radunarono tutti gli uomini dinnanzi alla casa del sindaco. Dieci bambini erano scomparsi. Cosa stava succedendo? E i militari? Dov’erano finiti i militari? Dov’era la solita pattuglia che da mesi, notte e giorno, sorvegliava la cittadina? Nessun coprifuoco quella notte.

III

Il campo base era a meno di un chilometro dal villaggio e per raggiungerlo non servirono torce quella notte. La Luna era piena e tagliava la sagoma delle montagne dal nero del cielo, illuminando la fetta di deserto che separava il campo dal villaggio.
Il campo era delimitato da una recinzione illuminata con una serie di potenti fari, equidistanti l’uno dall’altro. Dentro la guardiola non c’era nessuno. A Omed e gli altri uomini del villaggio bastò scavalcare la transenna. Una volta dentro, si sparpagliarono alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarli. Ma il campo sembrava deserto. Nella tenda-dormitorio le brande erano vuote.
Finalmente trovarono un gruppo di soldati dentro la tenda di un ufficiale. Questi saltarono in piedi non appena videro gli uomini del villaggio. Eppure non sembravano stupiti.
«Chi è che comanda tra di voi?» chiese in fretta Omed. Ma come risposta ebbe solo gli sguardi perplessi dei soldati che si lanciarono a vicenda delle occhiate smarrite.
«Stanotte qui non comanda nessuno» – rispose finalmente uno – «Come potete vedere siamo rimasti soltanto noi sette, gli altri sono tutti spariti.»
«Spariti? Si sono portati via i nostri figli!» urlò Haami, scagliandosi contro il giovane che aveva parlato. Il fratello e altri due uomini lo trattennero, mentre uno dei soldati aveva già estratto l’arma, spaventato dalla superiorità numerica dei locali. Quindi intervenne il sindaco: «Avete avvertito il vostro comando centrale? Come ve l’hanno spiegata tutta questa faccenda?»
«Non siamo riusciti a contattare nessuno. Tutte le radio e i telefoni satellitari sono stati distrutti o rubati. Non sappiamo assolutamente nulla. Due dei nostri sono partiti con una camionetta più di dodici ore fa e non sono ancora tornati. Voi, piuttosto, non avete modo di farci comunicare con il comando?»
La confusione e la preoccupazione per i bambini scomparsi faceva crescere la rabbia dei padri. E anche i militari erano ormai in preda al panico: in una terra straniera, con nessun modo di comunicare con la base, con poche armi, nessun ordine da eseguire e con, tra le mani, l’inizio di una rivolta.
Il villaggio non era mai stato raggiunto dalle linee telefoniche nazionali e i ripetitori più vicini erano al di là delle montagne, quindi inutilizzabili. In ogni caso, anche se di tanto in tanto qualcuno aveva comprato una vecchia radio, non c’era mai stato negli abitanti del villaggio un gran desiderio di comunicare. E ormai da anni non si vedeva una radio funzionante in città.
Proprio per questo si stupirono tutti quando Omed disse: «Zackarya!»

IV

«Quell’animale ce l’ha di certo una radio! Ha tante di quelle cianfrusaglie…» – spiegò Omed ai suoi compagni e aggiunse, per i soldati che non capivano – «Vive in una delle grotte, è un selvaggio. Ma raccoglie tutto quello che trova in giro, specie se è qualcosa che luccica.»
«Perché non è venuto con voi?» chiese uno dei militari. Quelli del villaggio si guardarono l’un l’altro quasi spaventati e il più anziano tra loro spiegò: «Non è più un uomo da… Io ero giovane ancora, avevo la vostra età, ed ero presente quel giorno. Il fratello aveva trascinato Zackarya da casa sua fino alla casa del vecchio sindaco, chiedendo giustizia con la scusa di un grosso debito che non gli veniva pagato da anni. Voleva che una giuria lo condannasse a morte. E quando il vecchio sindaco gli spiegò che il debito era troppo piccolo per una simile condanna, egli imbracciò il fucile e, davanti a quasi tutto il villaggio, urlò “Sei indegno di questo mondo, sei indegno di essermi fratello!”
Quello che successe però fu assurdo. Invece di sparare, quell’uomo si bloccò ad ascoltare il fratello. Zackarya disse qualcosa che nessuno capì, parole blasfeme di certo! I due si guardarono intensamente per qualche attimo fino a quando il fratello di Zackarya girò la canna del fucile verso il proprio volto e sparò.
Quel giorno nessuno ebbe il coraggio di trattenere Zackarya. Fuggì e da allora vive alle grotte, come una bestia, come uno dei lupi di questi monti.»
A quei giovani soldati venne quasi da ridere. Pensarono subito di essersi imbattuti in una delle tante superstizioni che in questi villaggi di montanari arricchivano – e a volte sostituivano – la religione di stato. Ma la situazione era già assurda di suo, accettartono quindi di fare da scorta armata per quei civili. «Andremo tutti! Se quest’uomo ha una radio è la nostra unica speranza.»

V

La luce appannata della Luna non riusciva a penetrare nella grotta di Zackarya. L’aria era piena di fumo, perché alcuni rami bruciavano sotto un piccolo tegame di latta.
Erano passati diversi mesi dall’ultima volta che Omed aveva visto di sfuggita la sagoma curva di Zackarya. E, adesso che i suoi occhi iniziavano ad abituarsi alla semioscurità di quella caverna, si accorse di quanto fosse diventato vecchio quel povero pazzo. La sua casacca era sporca e lacera ed egli tremava vistosamente per il freddo della notte.
Fu Haami a parlare per primo. «È successa una cosa al villaggio. Ci serve una radio che funzioni, e ci serve alla svelta!» Detto questo, si avviò verso il fondo della grotta, dove una catasta di cianfrusaglie copriva quasi del tutto la parete di roccia. Afferrò alcune stuoie scagliandole in aria, poi la ruota di una moto e diversi tegami di rame bucati e lerci.
«Ce l’hai o non ce l’hai una radio in questo bordello?!» Haami era sempre più agitato, sempre più vicino a perdere il controllo, pensando al figlio scomparso.
Insieme ad Haami e a suo fratello Omed, si erano addentrati nella caverna anche il sindaco e uno dei militari, un ragazzo di nome Eric, che – essendo il più anziano tra i suoi compagni – si era ritrovato ad interpretare controvoglia il ruolo del capo.
Intanto, quella creatura selvatica che abitava nella grotta, se ne stava zitto con gli occhi sbarrati, immobile in un angolo. Alle domande incalzanti di quegli uomini rispondeva con nervosi cenni del capo.
Sì, una radio ce l’aveva. No, non funzionava. «Dov’è?» Si trovava in una cassa militare alle loro spalle. «Portiamola a Smith, credo si possa aggiustare. Magari usando i pezzi delle altre radio distrutte…» suggerì il soldato Eric.
Ma il vecchio sindaco, afferrata la radio, si accostò a Zackarya e con aria di supplica gli disse: «È opera tua tutto questo? Dove sono i bambini? Sai dircelo?»
Gli occhi pazzi e stanchi di Zackarya lo fissarono a lungo, ma senza vederlo davvero. Chinò la testa e si sistemò la povera veste più stretta attorno al petto. Quindi si lisciò la barba con mano insicura e disse: «No.»
«No, cosa?» eruppe Haami dalla rabbia. Mentre le parole di Zackarya fluivano lente: «No…non potete riaverli.»
«Sei stato tu? O…qualcuno come te?» chiese il sindaco temendo la risposta.
«No…no…» – disse il pazzo, scuotendo per gioco la testa – «È…differente.»
«Differente da cosa?»
«Non è uno come me.»
«E…da cosa lo capisci?» – continuò a chiedere il sindaco, sotto gli sguardi confusi degli altri.
«Voi da cosa la capite la differenza tra…il sangue…e la plastica?» La sua attenzione si era spostata su Omed. «Tuo figlio ha…una malattia. È malato, poverino. Si è sporcato il sangue con…»
Nessuno si sentì il coraggio di chiedere oltre, ma Zackarya si voltò di scatto verso il soldato Eric e, puntandogli il suo ossuto dito contro, urlò: «Tu! Vuota le tasche, lurido insetto!» Il giovane fu preso dal panico ed eseguì l’ordine come fosse arrivato da un generale, anziché da un barbone.
Caddero a terra un accendino, due chiavi, un coltellino svizzero e una manciata di monetine.
Il sindaco, avvicinandosi al soldato, fece per chinarsi e raccogliere una delle monete. Ma Zackarya gli urlò di non farlo, di non toccarle. «Che significa?» chiese allora il sindaco.
«Vengono a sciami e, come le zanzare portano la malaria, così loro portano questo. Quelli come me, quelli nati con questo marchio infame nell’anima, hanno il potere di…distruggere. La mia rabbia è più potente delle vostre armi, sapete? Ma quello…» – rise indicando le monete – «…è infido, è artificiale! Hanno spremuto come limoni la mia gente. Ci hanno provato per decenni a sfruttarci, usarci. Finché non hanno capito che potevano riprodurci, fare una brutta copia del nostro stesso sangue! Dannati…figli di puttana…Volevano il controllo su tutto! Eccolo il controllo! Ah ah!»
«I soldi? Dici che è colpa dei soldi? E perché noi non siamo scomparsi?», disse Omed mostrando alcune monete che aveva sul palmo della mano. E poi, rivolgendosi al sindaco: «Perché stiamo ancora qui ad ascoltare questo povero pazzo?» Ma il pazzo parlò prima del sindaco.
«Il tuo non è denaro straniero, non ha alcun potere. Ditemi piuttosto, a parte i bambini, chi altri è scomparso dal villaggio?»
«Nessuno», disse istintivamente Omed, a differenza del sindaco che, dopo qualche secondo, fece notare ai due fratelli che tra gli uomini che avevano radutati mancava l’ambulante. Ed era proprio l’ambulante l’unico del villaggio ad aver accettato il denaro dei militari.
Tutt’ad un tratto le farneticazioni di Zackarya sembravano meno folli.

VI

All’alba del giorno seguente la radio riparata iniziò a trasmettere. Dopo aver lanciato una richiesta di soccorso verso il campo base, il soldato Smith ricevette l’ordine di demilitarizzare la zona. Alla richiesta di chiarimenti sulle motivazioni, l’ufficiale accennò a un massiccio e organizzato attacco suicida che aveva colpito diverse città in tutta la zona. E con voce sconvolta aggiunse: «…dei bambini, soldato, capisci? Bambini!»
«Cosa hanno fatto ai bambini, signore? Passo.», urlò Smith al microfono.
«…e anche alcuni dei nostri… Non ha senso!»
«Signore, vuole dirmi cosa cazzo è successo? Passo!»
«Io so soltanto quello che ho visto coi miei occhi. Il palazzo del Governo Provvisorio è distrutto. Un biplano della Croce Rossa, carico di C4, gli si è schiantato contro. E…li ho visti…quel che ne restava…due bambini… Chi può far fare questo a dei bambini? Oh, Dio…Tornate alla base, ragazzi, e in fretta o…non so se stasera ne avrete ancora la possibilità. Guardatevi le spalle! Passo e chiudo.»
La comunicazione si interruppe bruscamente, proprio un attimo prima che dei colpi di mitra risuonassero nell’aria. I miliziani ribelli circondarono il campo e in breve gli infedeli furono tutti trucidati.

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