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Uno a testa

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INDICE

Cap. 8Cap. 7Cap. 6Cap. 5Cap. 4Cap. 3Cap. 2Cap. 1


8

«Sentimi, Ninì. Questa è una cosa sicura, il tempo di raccogliere un altro paio di teste ed è fatta.»
Stavolta devo convincerlo al volo, non c’è tempo per i suoi giochetti. Niente “ci sto… non ci sto… ci sto…” Stavolta mi devi dire “Sì e grazie”, bello mio, ché senza di me non saresti dove sei, piccolo baciaculi che non sei altro! Hai avuto la fortuna di starmi sopra fin dal primo momento, solo questo hai di merito. Se non fosse stata una questione di tempi, saresti solo un morto di fame, sempre pronto a raccogliere le molliche che IO ti lascerei cadere in terra. Sono troppo buono, è questo il problema.
«Ma quanti soldi ci vogliono per questo giochino?»
«Non meno di trecento ciascuno, te l’avevo già detto per telefono prima di venire. Non fare che ti tiri indietro proprio stavolta che non c’è intoppo!» Sei tirchio anche coi soldi che non sono tuoi, sei incredibile! – «Ho fatto già il tuo nome al Limari. Quello ti ha sempre rispettato, non fare la figura proprio adesso. Questa è l’occasione per metterti in buona luce una volta per tutte con la…»
Forse l’ho convinto.
«Ma… trecento…» Non te la tirare che giuro che ti salto addosso e ti strangolo! Se vado a fondo io… tu mi farai da cuscino! – «Allora brindiamo a questo… AFFARONE, carissimo il mio Lillino!»
Lillino, eh? Te lo do io il Lillino appena finita sta storia! Oggi puoi chiamarmi come vuoi, l’importante è che cacci fuori la pecunia.
È riuscito a farmi sudare le mie solite sette camicie anche sta volta. Ma come fa? E come faccio io a cacciarmi sempre in situazioni come questa con ignoranti ricconi come questo?
Meglio se prendo una boccata d’aria, altrimenti siamo d’infarto un’altra volta. «Caro Antonio, se dobbiamo brindare, facciamolo bene, no? Offrimi qualcosa di buono e andiamo a bere fuori al fresco…» – Che fai? Alzi la mano? – «Che c’è ora?»
«Si dice all’aria aperta, o aria fresca, se proprio devi. Ma non mi dire “andiamo al fresco”, che mi fa senso! Eh eh eh!»
Hai brutto il senso dell’umorismo, così come hai brutta la risata! Ma ridi, ridi. Oggi ridiamo tutti, che poi rideremo in pochi.
«Scuuusami, bisogna sempre stare attenti a certe… espressioni. Hai ragione. Allora prendiamo un po’ d’aria fresca in veranda. Così va meglio?»
«Mooolto meglio!»
Bisogna ammetterlo però: Ninì quando deve scegliersi gli uffici, lo fa con stile. Credo questa sia la sua unica qualità. La città vista da questo piano – sarà il decimo? – è inquietante.

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7

Citofono.
«Sì?» Dico.
«No?» Dice, e ride. Solo Santino è tanto stupido da fare ancora questo tipo di cretinate.
«Santì, vedi che sono pronto. Scendo io, non c’è bisogno che sali. Aspettami lì!» Dico.
«Santino, chi?» Dice, e ride.
«Ma com’è che non sei morto da bambino?» Dico, e stacco.
Mi vesto veloce e lo raggiungo, altrimenti, se perdo ancora tempo, attacca il dito al citofono e non lo stacca più.
Citofono. Ha attaccato il dito. Mi sa che oggi non finisce la giornata se non mi viene prima il mal di testa. E spero di averla ancora la testa a fine giornata!

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6

«Carissimo Calò, sei sempre uomo di parola. Hai detto che eri pronto alle sei, io passo alle sei, e tu…» – fa le pause quando non sa più che cretinata stava dicendo – «…e alle sei e mezza ancora siamo sotto casa tua! Devo dire altro?»
«Sì, dimmi che ieri il medico t’ha trovato un male incurabile.»
«Non so, non vedo un dottore dai tempi dei vaccini alle scuole medie. Ma tranquillizzati, tanto se Limari non ha fatto le cose bene… a noi non ci serviranno né medici, né avvocati, né imbianchini, né panettieri… al massimo un prete!»
«Saliamo in macchina, che siamo in ritardo!»
No, anche tu stai diventando finalmente uno di quelli che pensano alla morte? Stai diventando come me, Santì? Vabbè che con il lavoro che facciamo, doveva succedere prima o poi. Ma mi tranquillizzava pensare ogni tanto che magari potevi avere ragione tu a non aver paura mai di niente, a prendere tutto come uno scherzo. Se ora te la fai sotto come gli altri esseri umani, cosa ci guadagniamo?
«Tranquillo, Santino caro! La cosa l’ho organizzata io in tutto e per tutto, non ho lasciato niente in mano agli altri.»
Cos’è quella faccia seria? Cosa mi sta per dire? Ora mi dice che se ne pente. Lo sapevo, non dovevo neanche chiederglielo. Non se la sente, poverino. E non sa come dirmelo. Dopo tanti anni non si vergogna a pugnalarmi così alle spalle? Vigliacco!
«Mi fido solo di te, Calò. Se era per qualcun altro, non venivo nemmeno. E tu lo sai.»
Scusami, scusami tanto… amico mio.
«Lo so, lo so» Dico, e rido.

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5

Non mi sono mai piaciuti i film di gangster. Macchinoni, pistole, vicoli sordidi, affari sporchi e bionde mozzafiato. E, invece, eccomi qua ad atteggiarmi alla Bogart nel sotterraneo di un palazzone abbandonato. Anche io arrivato su un’auto di lusso – anche se comprata di seconda mano, è pur sempre un macchinone. Anche io armato, anche io sporco come l’affaraccio che dobbiamo sbrigare. Penso che se ci fosse qualche bionda mozzafiato, forse potrebbe essere più divertente. Ma così è solo maledettamente squallido, quasi ridicolo. E se penso che da questa storia grottesca può uscirne fuori la mia salvezza, mi viene solo la nausea.
«Mettila lì la macchina, Santì, vicino a quella del Mormone. Sono già tutti qua.»
«Questa specie di bus nero metallizzato è del Mormone?! Ma dove li trovano i soldi? Sugli alberi? Ma è nuova?»
«Santì, rassegnati: solo tu e io abbiamo la faccia tosta di comprare ancora macchine usate. Ormai non si usa più. O c’hai i soldi, o è meglio se vai a piedi, senti a me.»
«Ssè! Quello lì, il Mormone, se avesse anche lui moglie e figli da campare, altro che autoblindo di marca nuovo fiammante!»
Io non mi ci trovo dentro questa scena.
Non potevo nascere con l’armatura addosso, col cavallo sotto il culo e qualche corona in testa? Come vorrei avere una spada!
Invece m’hai fatto nascere pezzente, Signore. Per me va bene. L’importante è che dopo non mi mandi a cuocere solo perché pezzente non ho voluto morirci!
Sono troppo vecchio per queste cose. Una volta non ci pensavo alla morte, ora invece gira tutto intorno a questo. E pensare che se fossi medico, muratore o panettiere o avvocato… non ci penserei proprio a morire alla mia età.

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4

«Manca solo Antonio a questo punto, no?»
Sorride sempre questo Limari. Credo sia proprio questo che me l’ha fatto odiare sin dal primo momento. Però devo ammettere che la sua parte la fa bene. È una sanguisuga, una serpe, una iena… ma ci mette passione nell’esserlo. Questo va detto.
«Non possiamo mica cominciare senza il nostro membro più importante!» Ride e mostra tutti i denti. Sono bianchi, tanto bianchi come io non li ho mai avuti neanche appena spuntati. Forse se li fa cambiare ogni mese. Questo caca soldi dalla mattina alla sera. Avremmo dovuto organizzarci per alleggerirlo un po’, così magari la smette di ridere. Sarebbe stato un colpetto niente male, e sicuramente più pulito della porcata di oggi. Che stupido a non averci pensato prima!
«Signor Limari, Antonino l’ho già istruito io. Quindi non si preoccupi, possiamo cominciare.» Dico io.
«Ma i soldi li ha cacciati?» Dice, e ride. Ridono tutti. Rido anch’io e dico: «Sì, li abbiamo portati noi.»
Guarda che facce sveglie che ho raccolto! Giannino l’esattore, Mormone, Limari (detto il nordico), Facciasporca, l’egregio signor Nicosia, il mio Santino personale e, il non ancora presente, Ninì.
Questi non sono uomini d’azione, questo è sicuro. Ed è proprio una fortuna che di questi tempi i soldi facili non sono solo quelli che recuperi con le rapine a mano armata. Diversamente nessuno di noi tornerebbe dai propri figli, se non in una cassa. Non sento Lina da settimane ormai. Devo restituirle tutto. Ha ragione a non volermi più come padre. Neanche io mi riuscirei a perdonare. Quante gliene ho fatte e quante lei me ne perdona ogni volta! Stavolta me la devo guadagnare la sua indulgenza. Non sarà facile. Questi non sono uomini d’azione, e io non sono nemmeno un uomo.

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3

«Le carte sono queste, signori. Le ho fatte preparare ad arte dal mio avvocato. Non c’è una pecca. Verrà fuori tutto il succo, proprio come ha detto il nostro cervellone, il signor Di Prima.» Parla di me. «Se la completiamo come da programma, incassiamo i 6 milioni della Regione entro mezzogiorno. Questa è la parte facile, no?» Non ride più. Strano. Gli rode di non sapere il resto del racconto. Nessuno sa ancora come va a finire. Lo so soltanto io. E spero di non sbagliarmi.
«Vuole continuare lei, Calò?» Ah! Calò adesso? Niente più “signor Di Prima”? Siamo amiconi adesso!
«La cosa funziona come un orologio svizzero, e noi dobbiamo essere altrettanto precisi. Se la società, una volta incassati i soldi, non sparisce nell’arco di mezz’ora, salta tutta la messa in scena. Questo è il tempo che ci vuole per verificare che è una truffa e che non esiste nessuna Namaste&co. Mi sono spiegato?» – Respiro profondo – «Ognuno di voi sa come muoversi e sa quando farlo. Mi rivolgo soprattutto al signor Nicosia. Ci siamo capiti, Paolì? Devi cancellare al volo ogni traccia: sito internet, registri vari, anche la posta elettronica. Non deve restare manco una lettera dell’alfabeto. Poi i computer li consegni tutti a Santino, e a questo punto scompariamo tutti e per un bel po’ di tempo.» Mi guardano tutti come se fossi un alieno. Troppo veloce per i loro tempi cerebrali. Che ci sarà un intoppo, lo so già. Ma non so dire chi sarà quest’intoppo. Sono sudato.

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2

«L’hai ammazzato.» Dico, dopo avergli tastato il collo freddo.
«Ma lo capisci che erano tutti e quattro d’accordo per fregarci?! Ma con che coraggio? È Limari la testa, sicuro! Questi quaquaraquà non sanno manco fare due più due se non gli metti le dita davanti!» Gli trema la voce a Santino. Doveva proprio finire così? Proprio Santino? E adesso?
«Dammi la pistola, bestia!» Gli urlo, così si zittisce. Provo a cancellare le impronte digitali dall’arma, ma mi viene da ridere, visto che non ho mai creduto che servisse a qualcosa. Nei film ogni volta che l’assassino si preoccupa di strusciare tutto con un fazzoletto, io mi metto ad imprecare contro lo schermo. Stupido!
Ci metti sempre un insegnamento in mezzo quando fai le cose, Signore. Non te lo scordi mai di lasciare la firma. E, maledetto io, hai sempre ragione tu e io ho sempre torto. «Santì, tu ne devi uscire pulito, è stato solo per difendere me che hai sparato a questo cane.»
Ci metto le mie impronte sulla pistola.
«Ma che fai ora?» Mi urla come se mi stessi tagliando una mano.
«Fidati! Tu vattene a casa, prenditi un po’ di roba e sparisci dalla circolazione. Qui finisco io di sistemare.» Mi meraviglio della voce sicura e ferma che mi esce dal petto. Non mi riconosco.
Povero Santino, lo vedo che non sai che fare. Sei perso, completamente perso. Non te l’aspettavi che finiva così sta giornata. Con il labbro tremante e gli occhi sbarrati mi guardi senza più capire quello che dico. Stai pensando a come puoi lasciarmi qui da solo, ti stai chiedendo se sei tanto egoista. Ti stai anche chiedendo dove andresti se dovessi fuggire adesso.
«Ti ho detto che qui ci penso io! Ora sbaracco tutto. Lui lo insacco e lo faccio sparire insieme alla pistola. I computer dove sono?»
«Ne… nel suo furgone!»
«Quelli ci serviranno per recuperare quello che ci hanno tolto. Sistemo tutto io. Tu va via, per Dio!» Urlo e impreco come se ci credessi davvero in quello che dico. Convincitene, Calò, convincitene!
«Calò, non farti fregare per colpa mia, ti prego, non lo fare.»
«No, Santì. Tu vai il più lontano possibile, poi chiamami su questo numero. Non lo conosce nessuno, lo conservavo per le emergenze…» – sorrido… falso. Il bigliettino col numero mi esce di tasca da solo. «Mi chiami domani mattina presto e mi dici dove sei e ti raggiungo con i soldi. Te lo prometto. E poi Brasile! Ok?»
Povero Santino, l’hai fatta grossa e non sai neanche in che pasticcio ti sei messo. Questa è l’ultima prova di fiducia che ti chiedo, te lo stragiuro. Adesso fai il bravo e vai via.
Forse l’ho convinto.
Si volta, imbocca la porta e si getta ad una corsa impacciata giù per le scale.
È andata.

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1

Squilla.
«Com’è finita?» Dice.
«È finita che quasi ci restavo io steso a terra con una pallottola in petto!» Dico. Non è vero, non lo dico, lo sto urlando.
«Ma si può sapere se è fatta o no?» Dice, già ride. Immagino i suoi denti aguzzi e bianchissimi.
«Due in meno, come da programma.» Dico, anzi, sospiro.
Ride di gusto.
«Calò, bisogna ammetterlo: sei una carogna, ma ci metti passione!»
E serio chiede: «Allora un milione a testa?»
«Sì.» Dico, mentre deglutisco l’ultima goccia di coscienza – «Uno a testa.»

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